Brasile & Sud America
 
 
BOLIVIA (LA PAZ)  
Bolivia, la crisi di Evo Morales
di Roberto Lovari da L'Opinione
I primi giorni di maggio hanno visto una ulteriore crescita della crisi della Bolivia. Il presidente Morales, celebrando il primo di maggio di fronte ai suoi sostenitori a La Paz, ha annunciato un passo ulteriore verso il “socialismo del XXI secolo”, ovvero la nazionalizzazione di altre quattro imprese di idrocarburi, due strategiche per il trasporto del gas verso il Brasile.
Il Presidente boliviano ha annunciato anche la nazionalizzazione totale della maggiore società telefonica del paese, la Entel, di proprietà di Telecom Italia. Nello stesso giorno dello scorso anno a questa società era stato espropriato il 47% . E’ ancora in corso nei tribunali internazionali la causa mossa da Telecom Italia per ottenere un risarcimento.
Sarà interessante vedere come si comporterà il futuro vice ministro delle cooperazione con i 34 milioni di dollari donati dal vice ministro del governo Prodi, Patrizia Sentinelli di Rifondazione Comunista, alla città di Palo Alto, roccaforte di Morales, per interventi in campo sociale e sanitario. È un dettaglio che lo stesso Morales, poco dopo la donazione, fu costretto a destituire per corruzione uno dei direttori della società, suo fedelissimo, che dovrebbe utilizzare i fondi.
Con queste nazionalizzazioni secondo Morales la YPBF, la società statale del petrolio, sfrutterà pienamente la grande risorsa petrolifera.
Il grande quotidiano di San Paolo, La Folha, nel riportare le dichiarazioni di Morales osservava che per portare avanti questo processo occorre tecnologia e capitali, la Bolivia al momento non ha nessuno dei due.
Queste dichiarazioni di Morales sono state accompagnate da dure minacce contro il referendum per l’autonomia indetto dalla provincia di Santa Cruz de la Sierra per il 4 maggio. Non si tratta solo di una provincia in mano all’opposizione, ma di una consistente parte del paese, responsabile del 30% del PIL e del 29% della produzione agricola, agricoltura orientata verso l’esportazione.
Il referendum si è tenuto regolarmente nonostante le azioni di disturbo messe in atto dai seguaci di Morales, con un 84% di favorevoli all’autonomia. Hanno partecipato al voto il 65% dei 2 milioni e mezzo di abitanti della provincia.
Nel mese di giugno faranno lo stesso anche le altre tre province che nel 2006 si espressero per l’autonomia, Beni, Pando e Tarija. Il referendum promosso dalle quattro ricche province orientali per chiedere maggiori poteri sul proprio sistema economico e legislativo è, secondo alcuni osservatori, la naturale risposta ad alcuni contenuti della nuova costituzione approvata in una caserma, senza opposizione e senza i due terzi dei componenti l’Assemblea Costituente.
Secondo la nuova costituzione verrebbero conferiti poteri speciali ad alcune etnie indigene, ovvero quote etniche nelle cariche elettive e nei vertici del potere giudiziario e la possibilità di instaurare un sistema giuridico autonomo, cosa che trasformerebbe la Bolivia in una confederazione multirazziale. A tutto questo si aggiunga la paralisi istituzionale: la Corte Costituzionale è paralizzata dell’anno scorso, quando il MAS (Movimento al Socialismo) di Morales sostituì quattro dei suoi cinque membri. Ne seguirono incidenti nel Parlamento, fatti di scontri non solo orali, ma anche fisici. Ecco perché il Tribunale elettorale nazionale dichiara nullo il referendum di Santa Cruz, mentre il Tribunale regionale lo dichiara legale.
È in questo quadro che, dopo il fallimento della mediazione della Organizzazione degli Stati Americani (OSA), il gruppo di stati amici della Bolivia: Argentina, Brasile e Colombia, tentano di nuovo di portare le parti al dialogo.
Martedì il ministro degli esteri del Brasile Celso Amori, quello della Colombia Camillo Reyes e il vice argentino Jorge Taiana, si sono recati a La Paz e hanno invitato con una dichiarazione le parti al dialogo. Sia il portavoce del Governo, Ivan Canelos, che il sindaco di Santa Cruz si dichiarano d’accordo, ma nessuno fissa né data né luoghi. Probabilmente bisognerà aspettare i tre nuovi referendum di giugno per aprire una difficile ma vera trattativa tra le due parti.

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