Brasile & Sud America
 
 
SUD AMERICA E LATINA  
Nell'America del Sud il segno positivo prevale in campo economico e politico..
di Roberto Lovari da IPALMO –(Istituto per le relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente) 10/03/2011
Il primo trimestre del 2011 vede confermare il quadro positivo con cui l’area dell’America del Sud ha terminato l’anno 2010, pur con alcune zone negative. La vasta area geografica, forte di 17.813.281 chilometri quadrati con circa 400 milioni di abitanti, ha offerto agli osservatori internazionali sorprese sia in campo economico che politico. Tradizionalmente le crisi internazionali lasciavano ferite consistenti. Sorprendentemente l’ultima crisi ha visto la regione reagire e superare quelle difficoltà che tanti problemi hanno prodotto in altre regioni del mondo. Tra i fattori che hanno consentito il buon risultato sono stati i fenomeni di modernizzazione e stabilizzazione delle finanze pubbliche, sicuramente determinante è stata anche il crescente aumento della domanda e dei prezzi delle materie prime. La CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi dell’ONU) ha registrato una crescita del 6% ed una previsione del 4,2% per l’anno 2011. Tutti i paesi della zona cresceranno con indici diversi, tutti positivi fuorché il Venezuela che segna -1%. Risultati positivi vi sono stati anche sul piano politico e dell’espansione della democrazia nel continente, ferme restando le polarizzazioni e tensioni esistenti nella cosiddetta area bolivariana. Il Venezuela, con i paesi alleati della Bolivia e dell’Ecuador, continua a suscitare preoccupazioni in campo internazionale negli organismi dell’area, come la OSA (Organizzazione degli Stati Americani). Un contributo determinante agli aspetti positivi economici e politici è venuto dal Brasile, paese in crescente crescita economica e politica nell’area e nel mondo. La transizione tra la presidenza del popolarissimo Lula e la sua erede Dilma Roussef ha vissuto momenti di democrazia, di tranquillità, senza esagerazioni, senza precedenti nella storia non solo del paese, ma di tutta l’America Meridionale. I due mandati presidenziali di Fernando Henrique Cardoso (1994-2004) hanno visto il paese vincere la spaventosa inflazione e mettere ordine nella spesa pubblica con la legge di responsabilità fiscale, legge che impedisce a comuni, stati e governo federale spese non sostenute da entrate. I due successivi mandati di Lula hanno portato il Brasile ad avere un’economia sempre in crescita e vigorosi piani di lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali. Alla fine del 2010 ben 13 milioni di famiglie erano sostenute dal programma “Bolsa Familia” come strumento di ridistribuzione del reddito. Crescita economica e validi programmi sociali hanno consentito a Lula non solo di terminare il suo secondo mandato con una popolarità che oscilla tra l’83% e l’87%, ma anche di far eleggere il successore senza difficoltà.
La nuova “Presidenta”, Dilma Rousseff, quasi sconosciuta, con una formazione, diremmo noi, di “intellettuale di sinistra”, un passato di opposizione anche armata ai generali, per la quale ha subito anche prigione e tortura, non ha una grandissima esperienza di governo, sembrava essere destinata ad essere “una copia di Lula con il rossetto”, come ha scritto l’Economist. Sono bastati solo due mesi per dire al paese ed al mondo che la Dilma ha personalità e idee politiche sue, anche se non in contrasto con quelle del suo mentore. Sobria e parsimoniosa negli interventi e nelle presenza pubbliche, al contrario di Lula, la sua azione di governo sembra impostata ad una efficienza manageriale che sta creando non pochi problemi ad un apparato governativo che era abituato ai ritmi lenti di Lula. La Rousseff ha mostrato di voler dire la sua anche sul piano economico, invitando il governo e il parlamento a contenere le spese, ma, ha tenuto a ribadire, non a scapito della spesa sociale. Ha attenuato in vario modo la posizione di Lula sull’Iran, la cosa ha attirato prontamente l’attenzione di Obama che il 19 marzo andrà in Brasile. Il Brasile è ormai una potenza regionale e Obama vuole migliorare i suoi rapporti con l’area, le chiavi di questo processo sono a Brasilia, per non parlare dei riflessi che il suo viaggio potrebbe avere sui 45 milioni di “Hispanos” che vivono, e soprattutto votano negli USA. È riuscita a far approvare dal Parlamento il salario minimo mensile predisposto dal Ministero dell’Economia, respingendo le proposte strumentalmente massimaliste dell’opposizione e di piccoli settori della sua stessa maggioranza.
Situazione completamente diversa è quella dell’Argentina, sia sul piano economico che politico. Il paese non riesce ancora ad uscire dall’isolamento finanziario internazionale causato dal default del 2001. Certamente l’economia si è costantemente ripresa dal disastro prodotto dagli avvenimenti economici del 2001 – 2002. Secondo un seminario sulla situazione economica mondiale tenutosi a Washington, il problema è che la crescita argentina è difficile da definire, data la non credibilità dei dati sull’inflazione: secondo il governo di circa l’8%, secondo analisti indipendenti tre volte tanto, e questo da anni. Il quadro politico è stato stravolto dall’improvvisa scomparsa dell’ex presidente Nestor Kirchner, marito dell’attuale presidente Cristina Fernandez de Kirchner e vero uomo forte del peronismo. Dati gli insuccessi accumulati dalla “Presidenta”, l’ultimo e più clamoroso la perdita della maggioranza alla Camera dei Deputati nelle ultime elezioni del giugno 2009, sembrava cosa certa la candidatura di Nestor Kirchner alla presidenza ad ottobre 2011. Il paese vive da anni una forte polarizzazione politica, i Kirchner sono da tempo impegnati in un duro scontro con il grande gruppo dei media del Clarin. La forte emozione per la scomparsa improvvisa di Nestor Kirchner, che aveva accentuato la collocazione a sinistra del partito peronista, ha portato in alto i sondaggi di metà gennaio della Cristina, tali da permetterle una rielezione addirittura al primo turno, ciò grazie anche alle divisioni dell’opposizione.
Dove lo scontro e la spaccatura politica del paese non cessa di crescere è nel Venezuela di Chavez. Dopo aver perso i due terzi dei membri del Parlamento nelle elezioni del settembre 2009, prima che entrasse in funzione il nuovo parlamento, dove è presente di nuovo l’opposizione del MUD (Tavolo di Unità Democratica), Chavez si è fatto approvare una serie di leggi, tra cui la “ley habilitante”, una autorizzazione a legiferare per 18 mesi per decreto legge su materie significative. Incurante dei rilievi mossigli dall’OSA per bocca del suo segretario generale, Chavez continua nel suo progetto di voler costruire un Venezuela socialista. Mentre continua a colpire duramente con ogni mezzo l’opposizione e i mezzi di informazione, Chavez non riesce a far uscire il paese dalla recessione economica e da una inflazione che è la più alta dell’America Meridionale, mentre gli indici di criminalità sono arrivati a livelli terrificanti.
Gli altri paesi del Sud America, semplificando, si potrebbero dividere in due gruppi: un blocco comprende Colombia, Perù, Cile ed Uruguay, un altro gli altri due paesi amici di Chavez, Ecuador e Bolivia.
In Perù si sta svolgendo la campagna per le elezioni presidenziali che si terranno il 10 aprile prossimo. I sondaggi danno in testa l’ex presidente Alejandro Toledo, per il secondo posto per il ballottaggio di giugno disputa accanita tra Kiko Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, e l’ex sindaco di Lima Castaneda.,
In Colombia, nonostante il permanere del terrorismo delle FARC, il presidente Juan Manuel Santos ha indici di approvazione dell’87%.
In Uruguay, un ex guerrigliero Tupamaro, Jose Mojica, ha potuto celebrare un anno di presidenza con buoni risultati economici ed in un clima politico sereno.
Tese rimangono le relazioni politiche in Ecuador e in Bolivia,che hanno la volontà di portare avanti processi di cambiamenti radicali e situazione economica in grande difficoltà. In Ecuador, nel settembre dell’anno passato, uno sciopero dei poliziotti ha messo in discussione la presidenza di Rafael Correa. In Bolivia è entrata in vigore la nuova costituzione che trasforma il paese in uno stato multinazionale, con forti ampliamenti dei poteri delle comunità precolombiane.
Il Paraguay vive una presidenza priva di grandi fatti politici con l’ex vescovo cattolico Fernando Lugo.

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