Brasile & Sud America
 
 
SUD AMERICA E LATINA  
Sudamerica: Il vento non soffia più a sinistra.
di Roberto Lovari da l’Avanti del 3/11/09
I risultati delle elezioni della passata settimana in Uruguay sono un ulteriore segnale che la sinistra, sia quella moderata che quella massimalista, non sono più vincenti. Certamente appena l’anno scorso con la vittoria del vescovo rosso Fernando Lugo, in un paese come il Paraguay governato fino alla fine degli anni ’80 da una dittatura, la marcia della sinistra sembrava inarrestabile. I dati uruguaiani sono chiari, il “Frente Amplio”, schieramento che va dai vecchi guerriglieri tupamaros alla destra socialdemocratica, nel 2005 aveva vinto al primo turno prendendo il 50,2% eleggendo per la prima volta un presidente di sinistra, Tabare Vazquez. Mojica con il suo pur buon 48% si è collocato ben lontano dalla popolarità del presidente uscente Tabare Vazquez con il suo 62%. Alcuni attribuiscono la mancata vittoria alla figura di Mojica, molto popolare ma con un alto indice di rigetto per il suo passata di lotta armata.
La sconfitta delle due proposte di governo sull’annullamento dell’amnistia ai militari e di dare il voto per corrispondenza agli uruguaiani residenti all’estero dice chiaramente che il problema non è Mojica, ma bensì uno spostamento verso il centro destra dell’elettorato.
A giugno un segnale chiaro di questo mutamento delle simpatie elettorali dei sudamericani lo si era avuto in Argentina, dove il peronismo di sinistra del presidente Cristina Fernandez e del marito, l’ex presidente Nestor Kirchner, ha perso nelle tipiche elezioni dei regimi presidenziali, quelle di mezzo, la maggioranza al senato e alla camera dei deputati.
In Cile, dove per venti anni “Corcertacion”, una alleanza di vari partiti di centro sinistra, aveva governato vincendo tutte le prove elettorali, non solo si è spaccata con la candidatura autonoma e di successo del giovane socialista Marco Ominami, ma affronta una prova dal risultato incerto nelle elezioni presidenziali di dicembre. Il candidato di centro sinistra Eduardo Frei solo in questo giorni è alla pari nei sondaggi con il candidato della destra Sebastian Piñera. Anche il presidente Michelle non riesce a trasferire al suo candidato quel 62% di popolarità di cui gode nel paese. Tutti i paesi governati dalla sinistra moderata hanno leader di grande consenso che però i loro elettori non ricollocano nei successori designati.
Caso clamoroso è il Brasile, dove Lula ha l’82% di approvazione ma Dilma Roussif da lui prescelta per succedergli non riesce a superare il 20 %, mentre il candidato dell’opposizione, il governatore dello stato di San Paolo, José Serra, ha il 40% dei consensi.
Gli elettori di Cile, Uruguay e Brasile sembrano non apprezzare più la formula di governo che ha reso possibile una buona politica economica e la lotta alle disuguaglianze sociali. Ma se la sinistra moderata non se la passa bene, non stanno certamente meglio i paesi governati dalla sinistra massimalista. Certamente Chavez non è a rischio di perdere il potere, ma se è costretto a dire ai concittadini di fare bagni di tre minuti e di smettere di cantare durante la doccia per risparmiare energia, in un paese grande produttore di petrolio, si ha l’esatto segno del fallimento della sua esperienza di governo. Il paese è spaccato in due, l’anno prossimo ci saranno le elezioni politiche, i sondaggi dicono che la maggioranza dei venezuelani vorrebbe che Chavez lasciasse il potere nel 2012 al termine del mandato. Difficile fare previsioni in un paese così diviso.
Situazione apparentemente chiara in Bolivia, dove Evo Morales non sembra avere problemi per farsi rieleggere a dicembre. Qui alla spaccatura di classe dei venezuelani si aggiunge quella razziale. La maggioranza degli Indios che abitano gli altipiani poveri della Bolivia occidentale vota per Morales, la parte orientale e ricca del paese abitato da meticci e bianchi gli è fortemente avversa.
Anche l’ecuadoregno Correa si è fatto rieleggere ed è entrato in carica in agosto. Nonostante i furori anti USA la crisi economica non gli consente di abbandonare l’uso del dollaro americano come moneta nazionale.
Quadro pertanto molto variegato quello del Sudamerica di questa fine del 2009, ma anche in mezzo a gravi tensioni la democrazia non dovrebbe subire sostanziali arretramenti.

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