Brasile & Sud America
 
 
ECUADOR (QUITO)  
La rivoluzione dell'Ecuador
di Roberto Lovari da L’Opinione del 29/07/08
L’Ecuador occupa, insieme alla Bolivia, gli ultimi posti nella graduatoria per stabilità politica, povertà e litigiosità con i paesi confinanti e non solo. Negli ultimi dieci anni ben tre presidenti non hanno terminato il mandato, il presidente Abdalla Bucanam fu deposto dopo essere stato dichiarato dal Congresso “malato di mente”. Il paese è l’unico stato del mondo ad avere adottato come moneta ufficiale il dollaro usa. Questo non significa assolutamente buoni rapporti con la democrazia
nordamericana, anzi, il presidente Correa alla fine della prossima scadenza non rinnoverà la concessione della base di Manta agli USA. Chiusasi dopo decenni di tensioni ed anche di scontri militari la vertenza per ragioni di confini con il Perù, l’Ecuador ha aperto una dura polemica con la Colombia di Uribe dopo il bombardamento della base delle FARC in territorio ecuadoregno nel quale è perito Raul Reyes, numero due dei narco comunisti delle FARC.
Mentre Chavez, dopo polemiche durissime si è anche riabbracciato con Uribe, Correa continua nella polemica dichiarando di non voler riallacciare relazioni diplomatiche con la Colombia finché Uribe sarà al governo. Anche se non ha aderito all’ALBA (Alternativa Bolivariana per l’America), o piccolo “Patto di Varsavia “ dei tropici, del venezuelano Chavez, la posizione di Rafael Correa Delgado dalla sua elezione nel novembre del 2006, è stata chiaramente di estrema sinistra, populista, autoritaria, fortemente anti USA, simpatizzante di Chavez e propugnatore anche lui di un “socialismo del XXI secolo.
Dopo duri scontri e vicende al limite del colpo di stato è riuscito ad imporre un referendum per fare una nuova costituzione. Il referendum viene celebrato il 15 di aprile del 2007 e dà a Correa l’ottanta per cento dei consensi. Viene insediata l’assemblea costituente a Montecristi, località a 250 chilometri da Quito. I lavori si svolgono tra duri scontri e vicende varie, come ad esempio le dimissioni dall’assemblea di Leon Roldos, già vice presidente del paese, o quelle del presidente della stessa, Alberto Acosta, il 23 di giugno, come protesta per l’ultimatum dato da Correa di terminare i lavori entro il 26 di luglio. In fase finale dei lavori un duro scontro si è aperto tra i seguaci del presidente sul problema della lingua ufficiale del paese. Circa il 43% degli ecuadoregni è di etnia Quechua, pertanto si chiedeva che accanto al castigliano vi fossero, come lingue ufficiali del paese, il Quechua e lo Shuar. Di fronte al voto contrario dell’assemblea, i fautori del trilinguismo hanno minacciato di votare contro il referendum che sarà celebrato il 28 di settembre per approvare la nuova costituzione. Un compromesso all’ultimo minuto ha consentito di far rientrare il dissenso. Il Castigliano sarà la lingua ufficiale, ma castigliano, quechua e shuar sono lingue ufficiali delle relazioni interculturali.
Così venerdì 25 è stato possibile approvare la nuova costituzione composta di 444 articoli con 94 voti a favore e 32 contrari. La proposta sarà consegnata al Tribunale Supremo Elettorale che indirà il referendum per la sua approvazione.
Così Correa comincerà la sua “rivoluzione cittadina”, avrà grandi poteri, la banca centrale trasferirà a lui i suoi poteri in campo monetario. Il presidente potrà essere rieletto per due mandati, potrà così arrivare al 2017.
Ma è in campo economico che il “socialismo del XXI secolo” prende più corpo. L’economia non viene più definita di mercato ma economia solidaria. L’assemblea Nazionale decadrà e nel 2009 vi saranno nuove elezioni politiche. L’opposizione non ha mancato di rimarcare con forza il carattere fortemente statalista, il grande potere attribuito al presidente, gli investimenti stranieri resi quasi impossibili dati i vari gravami contenuti nella nuova costituzione.
La crisi economica e finanziaria degli USA e del mondo si è subito riflessa nelle rimesse degli emigranti che sono scese del 50%. Un sondaggio dell’Istituto Cedatos – Gallup dice che l’appoggio alla nuova carta è del 32%.
Mancano due mesi al 29 di settembre, data storica per l’Ecuador, il rigetto eventuale della nuova carta produrrà un caos dagli esiti imprevedibili.

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