Ludovico Incisa di Camerana, scomparso di recente, non è stato solo un grande diplomatico, ma un acuto storico dell’America Latina. Con un suo formidabile libro, I Caudillos, ha tracciato un profilo di queste figure che tanta parte hanno nella storia dell’America che nacque dalla colonizzazione degli spagnoli o dei portoghesi. “Generosi o crudeli, intelligenti o rozzi, i Caudillos sono al tempo stesso autoritari ed egualitari, popolari e populisti”. Continua Incisa di Camerana: “I Caudillos invecchiano e lasciano il posto a nuovi leader, formati nelle facoltà di scienze politiche e nelle business schools”. Sembrano parole scritte per il presidente dell’Ecuador, Raffael Correa. L’Ecuador ha gareggiato a lungo con la Bolivia come stato più instabile dell’America Latina. Fino all’arrivo alla presidenza di Correa nel 2007, in dieci anni il paese aveva avuto ben dieci presidenti, di cui uno, Abdalla Bucaran, era stato sostituito addirittura per “incapacità mentale”. Dopo un periodo di duri scontri politici ed istituzionali, Correa impone al paese la sua leadership, un po’ autorevole, autoritaria e una stabilità prima sconosciuta. Stabilità politica e alto costo delle materie prime, in primo luogo del petrolio, producono una espansione dell’economia ecuadoregna con crescita del PIL del 4,2% nel periodo 2007-2013. Senza dubbio la “Rivoluzione Cittadina”, come lui ama chiamare il suo movimento politico, porta indubbi vantaggi alle classi sociali più svantaggiate. Il “bono de desarrollo humano” di 50 dollari mensili a 1,2 milioni di famiglie fa si che toccahi il 43% della popolazione. Il suo partito, Allianza Pais, stravince nelle prove elettorali e lo fa rieleggere con un 57% nel 2013. In questi giorni Correa ha chiesto alcuni giorni di congedo dal suo incarico per potersi dedicare alle elezioni comunali e ai festeggiamenti per il settimo anniversario della sua rivoluzione cittadina. Se l’Ecuador di Correa non è né l’Argentina di Cristina, né il Venezuela di Maduro, non mancano le critiche e non sono di piccolo conto. Anche l’Ecuador è un paese profondamente spaccato tra chi ha avuto vantaggi e chi no. Correa, dicono, ha tolto la base militare di Manta agli USA e non perde occasione per attaccare gli USA, ma si guarda bene dal sostituire il dollaro come moneta nazionale. Infatti nel 2000 il governo, per battere l’inflazione, dichiarò il dollaro USA moneta dell’Ecuador, unico caso nel mondo. Quando Chavez paragonò Satana al presidente Bush, Correa ha definito il paragone “iniquo per il diavolo”. Qualcuno ricorda che, mentre Correa studiava negli USA prendendosi titoli accademici in economia, il padre fu arrestato e finì in galera per droga. Correa si è fatto paladino di Snowden, offrendogli asilo politico per le sue battaglie per la libertà. Purtroppo le organizzazioni mondiali che vigilano sulle libertà di stampa sono anni che lo condannano. Recentemente la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha manifestato la sua preoccupazione per le condanne inflitte a deputati e giornalisti per calunnie contro Correa. Il giorno dopo la Human Right Watch (HRW) ha chiesto a Correa di smettere di usare le leggi penali per perseguire i suoi avversari. Da tempo anche altre organizzazioni dicono che la legge sulle comunicazioni dell’Ecuador soffoca la libertà di stampa. Nei giorni passati Correa ha dichiarato che alla fine del suo secondo mandato del 2017 non si ricandiderà. Non tutti gli ecuadoregni ci credono.
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