L’autunno australe sembrava iniziare sotto una buona stella per il Presidente del Brasile Dilma Rousseff, infatti l’inchiesta di Datafolha, resa nota il 23 aprile, le assegnava un record di popolarità, ben il 64% dei brasiliani giudicava la sua presidenza ottima o buona, con in più il 29%di regolare. Nell’inchiesta emergeva però un dato curioso, alla domanda chi l’intervistato volesse candidato alla presidenziali del 2014, il 57% rispondeva Lula, solo il 32% l’attuale presidente, ulteriore riprova della grande popolarità di Lula. Subito dopo la pubblicazione di questa inchiesta, però, il clima politico comincia ad accendersi fino a livelli mai visti nella vita politica del paese dopo il ritorno pieno alla democrazia nel 1985. Un insieme di fatti contribuisce ad accendere lo scontro tra maggioranza ed opposizione, qualche volta anche dentro la stessa maggioranza e con organi dello stato. Certamente il motivo principale è lo scenario delle elezioni comunali di ottobre. In Brasile il potere è distribuito su quattro livelli, Presidenza, Parlamento, Stati e comuni. Nei 5000 e più comuni che compongono la struttura locale risiedono molte delle chiavi che aprono le porte del governo degli stati e della Presidenza della Repubblica. È in questo clima elettorale che il governo riceve una sonora sconfitta prima della fine del mese di aprile. Infatti una maggioranza spuria di 274 voti contro 189 approva una nuova versione del “codigo florestal”, ossia la riforma dell’insieme di leggi sull’ambiente e sull’uso del terreno agricolo. È chiaro, una parte della base del Presidente si è alleata con i “ruralisti”, quei settori politici che difendono gli interessi dell’agricoltura, in particolare dei grandi proprietari. Il colpo è forte, non si dimentichi che dal 20 al 22 di giugno si terrà il Rio+20, l’assemblea dell’ONU sui temi dell’ambiente. Il Brasile non può certamente presentarsi a quest’incontro con le durissime proteste degli ambientalisti che accusano la legge approvata di essere un assalto alla natura. Un mese dopo, la Rousseff approva una “medida provisoria”, noi lo chiamiamo decreto legge. La nuova legge, pur risparmiando i piccoli agricoltori, pone regole severe per le APP (aree di protezione permanente) e soprattutto per la “reserva legal”, ossia chi ha le proprietà agricole in Amazzonia ne potrà coltivare solo il 20%, negli stati vicini, il Cerrado, solo il 75% e l’80% negli altri stati. Le parti non coltivate dovranno rimanere intatte con la loro fauna e flora originarie. Dilma sembra essere riuscita a trovare soluzioni che, pur non accontentando pienamente le due parti in campo, ambientalisti e “ruralisti”, offre soluzioni credibili e sostenibili. Dilma esce anche bene da una questione lunga e spinosa. Tutti i paesi che hanno avuto dittature negli anni ’60 e ’70 hanno punito gli autori delle violazioni dei diritti umani, il Brasile no. Dopo lunghe discussioni, sei mesi fa è stata approvata una legge che istituisce una “Commissione della verità”, che in due anni dovrà dare un quadro delle violazioni dei diritti umani dal 1946 al 1988 e Dilma riesce a superare anche lo scoglio della composizione dei sette membri della Commissione. La Rousseff mostra così una notevole dose di capacità politiche, ma questa sua capacità è impotente a frenare gli scandali di corruzione e i loro sviluppi che rischiano di creare tensioni molto pericolose. A fine aprile il Parlamento crea una commissione d’inchiesta (CPI) per indagare sui rapporti tra Carlinhos Cachoeira, sospettato di essere a capo del gioco illegale nello stato del Goias, e il senatore Demostenes Torres (opposizione) e il mondo della politica. Si dice che la CPI sia stata fortemente voluta da Lula al fine di offuscare l’altro grande processo in arrivo. Infatti, dopo sette anni, il Supremo Tribunale Federale dovrà giudicare il “mensalão”. Si tratta del più grande scandalo della storia recente del Brasile, ben 34 imputati, tra cui alcuni massimi dirigenti del PT, come Jose Dircevo e Delubio Soares, vengono accusati di aver montato una rete che mensilmente, ecco perché il termine “mensalão”, pagava i deputati per approvare le leggi di Lula che non aveva la maggioranza in parlamento. Ma, come diceva un vecchio parlamentare, le CPI si sa dove cominciano ma non dove finiscono, infatti la CPI mette a nudo un mondo di corruzione che colpisce persone e stati sia dell’opposizione che della maggioranza di governo.
Se non bastasse, l’ultimo numero di maggio della rivista Veja accusa Lula di aver fatto pressioni sul giudice del STF Gilberto Mendes per far rinviare il processo del mensalão. I giorni successivi vedono una marea di dichiarazioni che accendono sempre di più il clima politico. Il Presidente Dilma impone il silenzio ai suoi, nel tentativo di rimanere lontana dalle polemiche. Lula va in una popolare trasmissione di Ratinho della SBT per contrattaccare e coglie anche l’occasione per presentare il candidato alla carica di sindaco di San Paolo. Non si capisce se per minacciare gli avversari o per rincuorare i propri sostenitori, Lula dice che, se la Rousseff non si candiderà nel 2014, lo farà lui per non far tornare i “tucano” (il partito dell’opposizione di Serra) al governo del paese.
Il 6 di giugno il STF ha fissato l’inizio del processo del “mensalão” per il primo di agosto, in piena campagna elettorale. |