Difficilmente le migliaia di italiani che nei primi anni del nuovo secolo furono rapinati del 75% dei loro 10 miliardi di dollari investiti in Tango Bonds si sorprenderanno per le ultime notizie in arrivo dal paese del Rio de la Plata. Nel dicembre del 2001 il Presidente argentino dichiarò che il paese non avrebbe più pagato il debito estero, ovvero il “default”, il fallimento dello stato argentino. La dichiarazione fu accompagnata dagli entusiastici applausi dei parlamentari. Dopo anni di trattative, il governo argentino rimborsò solo il 25% dei circa 100 miliardi di obbligazioni estere ai “capitalisti e speculatori internazionali”, in realtà centinaia di migliaia di piccoli e medi risparmiatori che avevano investito i loro risparmi nei titoli argentini. Come noto, l’Argentina pagò e continua a pagare duramente le conseguenze delle politiche economiche sbagliate portate avanti per decenni dal paese che, dopo la seconda guerra mondiale tra i più ricchi del mondo, si è trasformato in un paese dove la classe media era scesa per due terzi sotto il livello di povertà. Sotto l’astuta gestione di Nestor Kirchner si è in parte ripreso, l’aumento delle esportazioni di commodities e del loro prezzo ha aiutato il paese ad uscire dal baratro in cui era caduto, ma, dopo alcune schiarite, per il l’orizzonte dell’Argentina si è di nuovo rannuvolato. I prezzi bassi per il controllo statale, i sussidi di ogni tipo, l’effetto “lacrima”, come è stato chiamato dall’opposizione, per l’improvvisa morte di Nestor Kirchner nell’ottobre del 2010, consentono alla moglie, prima in forte caduta di popolarità, di essere rieletta con il 54% dei voti, un trionfo. Ma la vittoria elettorale non risolve la situazione economica che lancia segnali di crisi crescente. Non basta allo Stato impadronirsi dei fondi pensionistici o, dopo un duro scontro, autorizzare il governo ad utilizzare i fondi di riserva della Banca Centrale per ripianare i propri deficit crescenti. L’economia rallenta, non basta truccare i dati dell’INDEC, l’ente delegato a dare i dati sull’economia. Nessuno crede che l’inflazione sia quella dichiarata dal Governo, il 10%, gli osservatori indipendenti dicono almeno il doppio. A soccorrere Cristina Fernandez in Kirchner arriva l’anniversario dei trent’anni della guerra delle Malvinas Falkland. La presidente non perde l’occasione per una serie di manifestazioni contro il “colonialismo britannico che toglie la libertà agli Argentini di possedere le Malvinas”, dimenticandosi che gli abitanti delle gelide isole Falkaland, i “Kalpers”, non vogliono assolutamente diventare argentini e rivendicano il loro diritto di scegliere di essere cittadini inglesi. Le richieste di solidarietà al mondo latino americano non frenano la crescente crisi economica. Segno evidente ne sono tutte le limitazioni poste agli argentini nell’acquisto di dollari, riprova di una crescente fuga di capitali per sfiducia del mondo imprenditoriale. La Kirchner reagisce prendendo chiare misure protezionistiche. Presto una ventina di paesi, tra cui Cina, USA e Brasile, porteranno l’Argentina all’Organizzazione Mondiale del Commercio per le sue pratiche scorrette. È in questo clima che lunedì sedici avviene la nuova rapina agli europei, la statalizzazione dell’impresa petrolifera YFP, di proprietà della spagnola REPSOL. Il governo spagnolo aveva messo in guardia il governo argentino in seguito a voci. In mezzo ad applausi e canti degli invitati alla Casa Rosada, la presidente argentina annuncia l’invio al senato di un progetto legislativo per espropriare la maggioranza azionaria della società spagnola REPSOL nella Yacimentos Petroliferos Fiscales, per prendere il controllo della compagnia petrolifera. Alla presidente era stato ricordato come il marito fosse stato entusiasticamente d’accordo quando, vent’anni fa fu privatizzata. Non si è fatta attendere molto la reazione degli spagnoli. Il Ministro dell’Industria ed Energia, Jose Manuel Soria, ha definito la decisione come “ostile e discriminatoria”. Vaste le reazioni in campo internazionale. Logicamente il pronto plauso di Chavez in cura a Cuba, che ha fatto conoscere la sua soddisfazione per bocca del suo ministro degli esteri Maduro. Molto preoccupata quella di Calderon, presidente del Messico. Senza mezzi termini ha definito la vicenda un grave errore per l’Argentina, che con questo comportamento allontana gli investimenti stranieri. Di fronte al grave colpo inferto ad una Spagna già in grandi difficoltà, pronta la reazione dell’Unione Europea. Il 19 e il 20 si sarebbero dovuti tenere colloqui tra l’Argentina e l’UE. La responsabile per la politica estera dell’UE, Chaterine Ashton, ha deciso subito di rinviarli. Il presidente della REPSOL, Antonio Brufau, ha dichiarato che la compagnia chiederà nei Tribunali Internazionali di essere risarcita dell’esproprio subito per un valore di 10 miliardi di dollari. Non sono pochi quelli che ritengono che i poveri spagnoli non vedranno tornare indietro nemmeno un 25%. Gli Argentini si sono ormai assuefatti alla impunità per le loro ricorrenti rapine ai danni del mondo economico mondiale. |