Il secondo turno delle elezioni presidenziali del 5 di giugno segnano una decisa svolta nella vita del paese andino. Anche se con uno scarto di solo quattrocentomila voti, è stato eletto il primo presidente di sinistra del Perù. Certamente c’era stato, tra il 1968 e il 1975, il generale Juan Velasco Alvarado, ma non era stato portato al potere dalle urne, ma da un colpo di stato. La sua rivoluzione nazionalista e di sinistra, dopo nazionalizzazioni e riforme agrarie radicali, finì nel nulla, lasciando solo un aggravamento dei ritardi storici del paese. Fino a qualche mese fa, l’ex militare ed esponente della sinistra filo Chavez Ollanta Humala, occupava una delle ultime postazioni nelle preferenze dei peruviani per le elezioni presidenziali. L’ex presidente Toledo ha guidato per mesi le classifiche delle intenzioni di voto. Su di lui pesava l’ombra della sconfitta subita nel 2006 ad opera di Alan Garcia. Il primo turno ha rappresentato un vero e proprio terremoto nel quadro politico del paese andino. Tutti i candidati centristi sono stati spazzati via, compreso l’ex presidente Toledo, dalla coppia Humala - Keiko Fujimori. La sorpresa è anche lei, la figlia di Alberto Fujimori, in galera con una condanna a 25 anni per crimini commessi durante il periodo delle sue presidenze (1990-2000). Keiko Fujimori si era candidata al parlamento nel 2006, risultando la più votata della storia del Perù. Abile ed attenta, ha rinnegato gli errori del padre, difendendone però i successi economici e quelli contro il terribile terrorismo di Sendero Luminoso. Da parte sua, Humala aveva impostato la sua campagna con uno stile “moderato”, affermando che il suo modello non era Chavez. Subito la campagna del secondo turno si è infiammata in una netta radicalizzazione su due schieramenti, Humala espressione di un centrosinistra molto variegato, la Fujimori di un centrodestra con venature anche confessionali. Chiara e netta è stata la presa di posizione del Cardinale Cipriani a favore della Fujimori, non meno netta è stata la scelta del premio Nobel Mario Vargas Llosa. Si erano appena chiuse le urne che la Bolsa di Lima esprimeva le proprie preoccupazioni per la vittoria di Humala con un ribasso del 12%.
Humala non è stato fermo, subito ha nominato un comitato di transizione con personalità moderate, presieduto dal suo vice presidente Espinosa. Ad urne ancora calde ha ricevuto la telefonata del presidente del Cile Piñera, paese in contrasto e con una avversione storica con il Perù. Poi, senza indugi, subito in viaggio, in Brasile dalla Presidente Dilma e dall’amico e sostenitore Lula. Humala, attorniato da consiglieri brasiliani, ha impostato fortemente la sua campagna sull’immagine di un Humala come Lula delle Ande, lontano e diverso dal venezuelano Chavez. La scelta “brasiliana” del Perù peserà sulla scacchiera latino americana, dove Cile e Colombia interpretano una versione moderata, filo USA, in competizione con il modello brasiliano. Humala, che si insedierà il 28 di luglio, ha di fronte a sé grandi sfide. Il Perù è un paese dai grandi ritardi storici, secondo i dati dell’ONU ancora la maggioranza della popolazione pre-colombiana vive per il 18% in condizioni miserabili, per il 3% di povertà. Il paese è cresciuto negli ultimi anni in media del 5,5% all’anno, Humala dovrà dimostrare di saper far crescere il paese e l‘integrazione sociale delle sue classi più povere. Il 18 di giugno Varga Llosa, in un articolo pubblicato su molti giornali del Sudamerica, ha salutato la sua vittoria come un dato capace di allontanare il paese da scelte autoritarie ed illiberali, ma ha anche ricordato lo stretto margine della vittoria di Humala, segno che il campo opposto è ancora forte e pericoloso per la democrazia del paese. Vedremo se Humala saprà gestire quella che tutti chiamano la “Tigre delle Ande”. |