Per il Brasile il mese di dicembre è stato ricco di avvenimenti e di fatti politici. In mezzo a una girandola di incontri e di riunioni ufficiali e riservate, dichiarazioni ufficiali e ufficiose, è emerso non solo il nuovo governo, ma anche il nuovo quadro e le nuove problematiche del Brasile, alcune attese, altre nuove. Il nuovo governo entrerà in esercizio il 1 gennaio, quando il presidente uscente Lula trasferirà nella piazza dell’ Esplanada la fascia presidenziale a Dilma Rousseff. Il nuovo presidente è riuscito a completare il non facile lavoro di formare il nuovo governo solo tre giorni prima di Natale. Un governo all’insegna della continuità con Lula, anche se questa continuità comporterà non pochi problemi per il futuro. Il PT (partito dei lavoratori) di Lula e Dilma manterrà non solo lo stesso numero di ministri del governo precedente, ma con ministeri più importanti per i loro bilanci. Uomini di fiducia di Lula sono nei punti strategici del governo. L’ex ministro dell’economia, Antonio Palocci, nel ministero della Casa Civil, ossia una specie di sottosegretario alla presidenza, colui che coordina tutta l’azione del governo e soprattutto gestisce l’assegnazione della grande torta delle aziende statali, molte volte più importanti di molti ministeri, vedi i casi come Petrobras o BNDS. Guido Mantega , gestore della politica economica del Brasile, è stato mantenuto nel suo incarico, il solo cambiamento nell’area economica è stata la sostituzione di Meirelles con Antonio Tombini nella presidenza del Banco Central , la nostra Banca d’Italia. Lula ha piazzato un altro suo uomo di fiducia, è stato suo capo di gabinetto per otto anni, Gilberto Carvalho, nell’importantissima Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica. Logicamente sono state anche contentate le correnti interne del PT, i trombati d’eccellenza come il senatore Aloizio Mercadante, gli afro brasiliani con l’assegnazione del ministero dell’uguaglianza razziale alla sociologa negra Luiza Bairros. In Brasile dicono che non è mai cosa facile fare un governo del “presidente di coalizione”, ossia accontentare tutti i 10 partiti che hanno appoggiato la candidatura alla presidenza della Dilma, i brasiliani amano chiamare i loro politici più col nome che con il cognome. La Stampa brasiliana ha raccolto non solo mugugni, ma vere proteste palesi per il quadro uscito. Anche se il PT ha ottenuto molto più potere che nel passato, dure proteste si sono scatenati per il peso eccessivo dato a “petisti” del sud e del sud-est, le aree più ricche del paese. Il governatore di Bahia, Jaques Wagner, ha attaccato il governo definendolo “Paulisterio”, ossia troppo pieno di uomini dello Stato di San Paolo. Ma il vero grande perdente è il PMDB, il grande partito di centro, che esprime il vice presidente Michell Temer. Senza remore il leader del partito, Henrique Eduardo Alves, ha polemizzato sulla perdita di importanti ministeri andati al PT, anche se sono stati mantenuti sei ministeri. Quello della Difesa, il sesto, di Nelson Jobin, anche se in quota PMDB, è in realtà una scelta di Lula e di Dilma. Ma se il PMDB, forte di quasi 80 deputati, piange, la sinistra del PSB (partito socialista brasiliano), forte di un grande successo nelle ultime elezioni, ha visto deluse le sue richieste di avere tre ministeri invece che due. Anche le altre forze di sinistra della coalizione hanno visto ridurre le aspettative con il mantenimento di un solo ministero, come per il PDT (il vecchio partito di Brizola), o il vecchio alleato comunista del PCDB. Altri due partiti, il PP e il Pr, hanno ognuno un ministero. Logicamente tutti si aspettano e richiedono il riequilibrio nella futura distribuzione negli incarichi nelle importanti aziende di Stato. Nella formazione del governo non sono emersi solo appetiti, ma anche comportamenti dei partiti che segneranno la presidenza Dilma. In primo luogo quel PT che ha dimostrato grande forza e autonomia da Dilma. Ma se i rapporti tra Dilma e il PT, tra Dilma e i partiti della coalizione sono complessi, il vero grande problema di Dilma è quello che farà Lula. Certamente ha detto che lavorerà per il successo di Dilma, ma, senza mezzi termini, ha risposto, a chi gli domandava in una intervista a Retetv del 19 Dicembre se si candiderà nel 2014, “non posso dire di no perché sono vivo, sono presidente onorario di un partito, sono un politico nato, ho costruito una realtà straordinaria. Lavoriamo per la Dilma per farle fare un buon governo, quando verrà il momento vedremo che cosa accadrà“. In molti hanno visto, nel turbinio di iniziative, Lula dice per salutare la fine del suo mandato, l’inizio della sua campagna per le presidenziali del 2014. Ma si sa che anche in Brasile come in Italia, tutta la stampa è sempre contro il presidente. |