Salvador Brasile
La domanda può sembrare strana a chi non conosce bene Lula e la sua politica, ma non alla classe politica e ai commentatori brasiliani. Quando il primo di gennaio 2003 Lula s’insediò alla presidenza del Brasile dopo reiterati fallimenti, molti temettero il disastro, il cambio del real, la moneta brasiliana, cadde paurosamente nei confronti del dollaro. Si temette che tutta l’opera di risanamento economico portata avanti da Fernando Henrique Cardoso andasse perduta a causa del massimalismo estremista del PT, il partito di Lula. Ma la storia non produce solo sorprese negative, ma anche positive e sorprendenti. Il “Sapo Barbudo” ovvero il rospo con la barba, come con cattiva ironia veniva chiamato Lula, non solo continuò l’opera di Cardoso, ma lo ampliò mescolando sorprendentemente rigore economico e assistenzialismo per le classi più disagiate. Controllo severo della sfera pubblica, pagamento dei debiti esteri e rapporti ottimi con il FMI e gli altri organi monetari internazionali hanno fatto in pochi anni del Brasile un luogo certo e redditizio per la finanza internazionale, le casse dello stato brasiliano hanno ben 240 miliardi di dollari di riserve. Il Brasile ha avuto storicamente l’incubo del debito estero. Nel frattempo quindici milioni di famiglie, attraverso il piano “bolsa familia”, hanno ottenuto un po’ di soldi per fare pranzo e cena.
Al vecchio sindacalista non ha tremato la mano quando si è trattato di espellere dal partito chi protestava contro la sua politica “neo liberista”, come con la senatrice Heloisa Helena. I sondaggi hanno con il tempo espresso il consenso che Lula ha finito per raccogliere, sempre tra il 70 e l’80%. I commentatori e l’opposizione si consolavano dicendo che il brasiliano guarda al portafoglio.
Ma se in politica interna ed economica Lula è un ottimo uomo di centro destra, in politica estera i vecchi vizi della politica di sinistra del PT rimangono quasi tutti: terzomondismo, anti USA, anche se con moderazione, filo castrismo. Alcuni sospettano che il sinistrismo di Lula serva a tenere buone le sinistre in Brasile. Lula ha avuto buoni rapporti con Bush, nello stesso tempo non si è mai smarcato da Chavez e dal suo massimalismo, consapevole che il demagogo venezuelano attrae consensi in Brasile e in tutta l’America Latina. Certamente alcune volte il suo protagonismo in campo internazionale lo mette in situazioni di difficoltà, come nel caso di Zelaya o di Amadinejad. L’ex presidente dell’Honduras è rifugiato nell’ambasciata brasiliana di Tegucigalpa, Amadinejad è venuto in Brasile in mezzo a forti contestazioni delle associazioni per i diritti civili.
È proprio la politica estera di sinistra la chiave per capire la vicenda Battisti. È la sinistra internazionale, a cominciare da quella francese per finire a Cuba e ai suoi servizi, che ha fatto muovere Tarso Genro, a costo di mettere in difficoltà Lula. Il pasticcio Battisti, che doveva essere risolto dal Supremo Tribunale Federale, è stato complicato ancora di più dalla decisione di questo organo, una specie di Corte Costituzionale, che ha detto sì all’estradizione di Battisti, ma ha lasciato la decisione finale a Lula.
Resosi conto di essere rimasto con il cerino in mano, Lula ha preso tempo. Ha fatto circolare la voce, come riportato dalla rivista Veja, che nel colloquio con Berlusconi avrebbe detto che non sarebbe morto su Battisti, lo stesso avrebbe detto D’Alema. Nel numero del 25 novembre la stessa Veja afferma di aver appurato la falsità delle notizie messe in campo da Lula.
Ora Lula dovrà scegliere se dire di sì al STF che gli ha detto di rimandare Battisti in Italia, all’opinione pubblica brasiliana, alla stragrande parte delle forze politiche che vogliono che il reo Battisti paghi i suoi conti con la giustizia, oppure ascoltare il vecchio massimalismo del suo PT, solidale con chi ha tentato di rovesciare le istituzioni di un paese democratico con il sangue e la morte.
Vedremo a gennaio del 2010 quale Lula ha deciso su Battisti. L’Italia per lo meno dovrebbe minacciare di portare il Brasile alla Corte di Giustizia Internazionale per la rottura dell’accordo di estradizione in vigore tra i due paesi. |