L’Uruguay ha ancora una volta dato all’America Latina una lezione di democrazia politica e di civismo. Il paese, poco più grande della metà dell’Italia, ha una storia molto particolare. Stretto tra i due grandi vicini la più somigliante Argentina e il grande Brasile, aveva avuto uno sviluppo economico e civile, la popolazione è di origine spagnola o italiana, nella seconda parte del secolo XX tale da fargli meritare il titolo di “Svizzera dell’America Meridionale”.
Certamente non era riuscito a sfuggire alla crisi che investì l’America Meridionale negli anni ’60 e ’70, guerra fredda, radicalizzazione delle sinistre, scelta di destra delle classi medie impaurite dalla rivoluzione sociale, regimi militari compresi. Infatti forze politiche di destra e militari presero il potere nel ’73 sciogliendo parlamento e partiti, imprigionando l’opposizione, torturando ed uccidendo. Furono lunghi anni bui da cui l’Uruguay esce nell’84 con l’elezione del colorado José Maria Sanguinetti con un programma dal titolo: ”Cambiamenti in pace”. L’amnistia per tutti i prigionieri politici viene affiancata anche da quella per tutti coloro che erano stati coinvolti nel regime militare degli anni ’73 –’84. La vita democratica riprende pienamente fino ad arrivare alla svolta del 2004, quando viene eletto il candidato del “Fronte ampio” Tabare Vasquez, uno schieramento di sinistra democratica in cui erano confluiti anche i vecchi guerriglieri “Tupamaros”.
L’Uruguay si colloca nello scacchiere sud americano accanto agli altri paesi di sinistra moderata come il Cile della Bachelet o il Brasile di Lula. Nel 2006 si apre un aspro conflitto con l’Argentina a causa della cartiera sul fiume Uruguay che, secondo gli argentini, inquinerebbe. La vertenza finisce alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ed è ancora aperta. Alla fine del mandato, non essendo rieleggibile Tabare Vasquez, che per i buoni risultati ottenuti ha una popolarità superiore al 60%, si apre nel Fronte Ampio il confronto per la scelta del successore. Vince José “Pepe” Mojica su Danilo Astori, di tendenze socialdemocratiche di destra.
Mojica è un vero personaggio, 74 anni, vecchio guerrigliero tupamaro, è stato 14 anni in galera. Nel Frente Amplio ha tenuto posizioni di sinistra moderata e i suoi modi e comportamenti di vita semplice gli hanno valso una grande popolarità, non solo tra le classi popolari, ma anche tra le classi medie che in Uruguay sono struttura portante della società.
L’avversario principale è l’ex presidente Luis Alberto La Calle (1990-1995) del Partito Nazionale o “Blanco”. Terzo contendente è Juan Pedro Bordaberry, candidato del Partito Colorado, figlio di quel Bordaberry presidente costituzionale negli anni ’72 e ’73, poi dal ’73 al 76 con regime militare.
Oltre al presidente, al vice, ai parlamentari e senatori, gli Uruguaiani dovevano dare il loro voto su due quesiti. Se abolire l’amnistia ai militari per i fatti degli anni 73-85 e se dare il voto per lettera agli uruguaiani residenti all’estero. Infatti dai 500 ai 600 mila, su tre milioni e mezzo di abitanti, risiedono all’estero. L’Argentina di Kirchner ha dato due giorni di ferie agli uruguaiani per mandarli a votare, è chiaro a favore di Mojica. Subito i dati chiamati “boca de ornas” ossia i nostri exit pool, danno chiara la volontà degli uriguaiani. Mojica realizza un grande risultato, infatti passa dal 45% delle previsioni al 47-49%, dato che però lo porta al secondo turno il 29 novembre. L’avversario meglio piazzato, La Calle, con il 28-31% ottiene una buona affermazione che lo proietta al secondo turno con grandi possibilità di vittoria.
Super soddisfatto è Bordaberry che riporta i “Colorados” a raddoppiare i voti con il 17-18%. Gli osservatori più attenti invitano a non preoccuparsi molto per chi vincerà. È vero che Mojica ha definito La Calle “l’apostolo del neo liberalismo fondamentalista”, a sua volta La Calle ha detto di Mojica “dovrebbe essere processato per aver copiato il neo marxismo del venezuelano Hugo Chavez”. Certamente ambedue sono figure forti, con alti indici di rigetto tra la gente, ma, salvo alcune differenze in materia tributaria e fiscale, nessuno vuole cambiare i dati fondamentali della politica economica del paese. Mojica non vuole ristatalizzare le società a suo tempo privatizzate, né La Calle si sogna di definanziare i progetti sociali portati avanti dal presidente Vasquez. Perché cambiare la politica economica che ha avuto tanto successo in Sudamerica? La crescita dell’industria del software nel 2008 costituisce il 7,9% del PIL, entro i prossimi dieci anni il paese potrà competere con Israele in questo campo. Ambedue i candidati hanno detto che la loro prima visita la vogliono fare a Lula, né Wall Street né Cararas.
Gli uruguaiani hanno detto no all’annullamento dell’amnistia per gli anni del regime militare. Hanno detto no anche al voto agli uruguaiani residenti all’estero. Hanno detto che chi vota deve anche poi pagarne le conseguenze.
A conclusione della giornata elettorale il presidente uscente Tabare Vasquez ha detto che da oggi comincerà a lavorare alla transizione che terminerà il primo di marzo, quando si insedierà il nuovo presidente. |