Sabato 6 dicembre a Caracas Chavez ha celebrato i suoi 10 anni di presidenza. I dintorni del palazzo di Miraflores, sede della presidenza venezuelana, erano affollati dalle prime ore del pomeriggio, piene dei suoi fedeli inneggianti. Con toni appassionati Chavez ha detto che rimarrà al potere “finchè Dio lo vorrà e il popolo lo comandi”. Ha chiesto ai suoi seguaci di mobilitarsi per raccogliere firme, il Partito Socialista Unificato è totalmente d’accordo sull’idea di un emendamento alla costituzione che, sottoposto a referendum dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale, consentirà elezioni illimitate per il Presidente del Venezuela.
Chavez ha chiuso dicendo che celebrerà il Natale in campagna elettorale.
Se l’entusiasmo dei partecipanti era forte e sincero, è pur vero che il quadro politico del paese è profondamente cambiato. Sembrano fatti di un altro Venezuela: la vittoria di Chavez nel ’98, la nascita dell’Assemblea Nazionale Costituente con 121 seggi su 131, la successiva nascita della Repubblica Bolivariana con grandi poteri per il Presidente; il fallimento del colpo di stato tentato contro di lui nel 2002, la vittoria sulla serrata e sullo sciopero del dicembre successivo, la scelta del socialismo nel 2005 su cui rimodellare lo stato e la società venezuelana; il travolgente successo nelle elezioni presidenziali del 2006 con il 62% dei voti. Ecco che dopo una lunga serie di vittorie viene il colpo di freno del 2 dicembre del 2007, quando anche per pochi voti non passa la sua richiesta di riformare la costituzione in modo tale da aumentare ancor di più i suoi poteri e di abolire il limite dei due mandati in modo da consentirgli di essere rieletto senza limiti.
Poi ci sono le elezioni per i governatori e i sindaci del novembre scorso. Chavez si scatena, minaccia di mandare i carri armati in caso di vittoria, minaccia di far arrestare gli avversari in caso di loro successo, la macchina elettorale del Partito Socialista Unificato si scatena nei quartieri poveri con ogni tipo di regalia, dai frigoriferi ai soldi, per comprare i voti. I risultati elettorali sono noti, Chavez canta vittoria perché ha conquistato 17 governatori su 22. Per alcuni giorni Chavez pare calmarsi. In una intervista al quotidiano “O Estrado de S. Paulo” del 26 novembre dice: “non proporrò altre riforme costituzionali, certo non posso evitare che altri tentino di farlo, il popolo ha il diritto di farlo”.
Passa poco più di una settimana ed ecco Chavez chiedere che l’Assemblea Nazionale, dove non esiste opposizione, approvi subito un emendamento da sottoporre a successivo referendum per consentirgli di ricandidarsi nel 2012.
Molti si sono chiesti le ragioni di questa improvvisa rabbiosa azione di Chavez per tentare di cambiare la decisione del referendum del 2007. Le risposte sono nelle elezioni del novembre scorso, nella situazione del paese, nella crisi economica e nella caduta del prezzo del petrolio, in modo particolare di quello venezuelano perché di bassa qualità.
Chavez ha si vinto in 17 stati, ma ha perso in quello di Zulia che produce l’80% del petrolio venezuelano, il 70% del PIL è prodotto in stati in mano all’opposizione. Non solo ha perso a Maracaibo, la terza città del paese, ma anche a Caracas e qui, cosa incredibile e inaccettabile, ha perso nei quartieri poveri.
Un tempo nell’agglomerato di favelas di Petare, forte di 500.000 residenti, Chavez era padrone, ora ha perso. Chavez non è più l’idolo dei poveri, non è più lotta di classe tra ricchi e poveri, Chavez vince nelle campagne mentre perde nelle aree urbane. Si aggiunga che la scarsità di generi alimentari, l’inflazione al 30 %, un aumento della criminalità incredibile, cinque volte più alta di quella delle città più violente come Rio o San Paolo, creano un vero e proprio spavento tra la gente.
Chavez vuole fare a gennaio o al massimo a febbraio il referendum e le elezioni politiche perché sa che presto arriveranno le conseguenze della caduta del petrolio e saranno drammatiche. Ha già sospeso i pagamenti delle nazionalizzazioni fatte nei mesi scorsi e gli investimenti in Ecuador e Nicaragua, ma presto mancheranno i soldi per pagare i sussidi di molti servizi e prodotti e sarà il caos.
I partiti dell’opposizione hanno deciso di darsi una unità di azione per affrontare Chavez nell’anno prossimo in primo luogo non ripetendo l’errore del 2006, quando si presentarono alle elezioni politiche.
Lo scontro sarà durissimo, ma ogni risultato è possibile. |