Nella nottata tra mercoledì 13 e giovedì 14 dicembre il presidente del Brasile Lula ha subito la sua più grande sconfitta nel Parlamento dal 2003, anno in cui diventò presidente del suo paese.
Al Senato la sua richiesta di prorogare la CPMF (contributo per i movimenti finanziari),una imposta del 0,38% sugli assegni, non ha ricevuto i voti sufficienti per essere approvata. Nonostante i 13 partiti che lo appoggiano avessero i numeri necessari, la defezione di ben sette senatori di maggioranza che si sono aggiunti all’opposizione ha fatto cadere l’impopolare imposta.
Questa votazione non è solo ricca di conseguenze politiche e finanziari, ma da anche una fotografia della situazione politico istituzionale del paese.
Dopo essere passata da mesi alla camera dei deputati, la proposta di proroga della CPMF si era incagliata da maggio al senato per due ragioni, il margine dei partiti che appoggiano il governo sono più ristretti, la vicenda delle accuse al presidente del senato Renan Calheros di corruzione e la conseguente richiesta di decadenza, non solo dalla carica di presidente, ma anche di senatore. Trattandosi di un potente alleato Lula lo ha difeso fino alla fine, decidendosi a mollarlo solo quando anche uomini del suo stesso partito, il PT, come il senatore Mercadante, si sono uniti all’opposizione contro Calheros.
Lula ha addirittura rinunciato a viaggi all’estero per seguire da Brasilia una lunga e tribolata trattativa, sia dentro la maggioranza che con l’opposizione. L’opposizione, il PSDB e i democratici (ex PFL), riteneva non più necessario il CPMF data la crescita delle entrate pubbliche e il permanere del CPMF (ben 20 miliardi di dollari ) uno stimolo agli sprechi del Governo federale.
Le conseguenze della votazione non si sono fatte attendere, la potente borsa di S.Paolo ha subito perso il 3% e gli interessi hanno fatto un balzo in avanti. Gli analisti economici hanno indicato il rischio che le agenzie di rating aumentino il rischio Brasile.
Non solo gli analisti economici, ma tutti si domandano dove verranno reperiti i fondi mancanti al bilancio dello stato, cancellando il superavit del 3,8% del bilancio, se aggiungendo nuove tasse, aumentando le imposte o tagliando le spese già previste.
Dopo reazioni nervose, vedi quella del Ministro Tarso Genro che ha accusato l’ex presidente Cardoso di essere dietro il voto contrario del Senato per invidia contro Lula, o le dichiarazioni dello stesso Lula, il presidente brasiliano, lasciandosi prendere da un suo certo populismo, ha accusato i senatori di aver votato contro il CPMF perché non usano il SUS (sanità pubblica brasiliana), che è ampiamente finanziato con i proventi di questa imposta. Con grande onestà Lula ha poi ringraziato il governatore Serra (del PSDB) per i suoi sforzi per far approvare il CPMF.
Paradossalmente gli stati più colpiti dalla cessazione di questa imposta saranno proprio San Paolo e Minas Gerais, governati da due uomini del PSDB e possibili avversari del successore di Lula nel 2010.
Non sono mancate fasi di confusione quando il Ministro dell’economia ha comunicato alla stampa che stava preparando misure fiscali per riparare alla mancanza dei fondi della CPMF. Lula, senza mezzi termini, lo ha smentito affermando di non saperne nulla e che è lui che decide. Dopo la confusione è arrivata una posizione chiara nella riunione di maggioranza, convocata da Lula con tutti i partiti che lo appoggiano, nella serata di mercoledì 19, al termina della quale il Ministro delle Relazioni Istituzionali, Martero, ha succintamente dichiarato che non vi saranno aumenti di imposte, si vedrà quali tagli fare al bilancio che dovrà essere votato a febbraio.
Il portavoce del Governo in Senato, Romero Juca, ha aggiunto che “l’economia e le imprese possono dormire sonni tranquilli”.
Non sono giorni buoni nemmeno nel suo partito per Lula. Il vecchio “campo maggioritario”, ossia la corrente più vicina a lui, |